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Fauna

Confinanti con il Parco del Frignano e con la Garfagnana il territorio dell'Ovovia è popolato da animali caratteristici delle zone protette; è possibile vedere l'aquila reale che nidifica nel vicino Orrido di Botri controllare, col suo caratteristico volo planato, grandi estensioni di territorio, alla caccia di marmotte e piccoli mammiferi che sono alcune tra le sue prede abituali.

Le quote più alte sono abitate da numerose colonie di marmotte che fanno capolino dalla loro tane.

Più comuni e diffusi sul territorio sono il capriolo, il daino, la faina, la donnola, il cinghiale, il tasso, la volpe, lo scoiattolo, la lepre, il ghiro e il minuscolo moscardino.
Nelle praterie più alte c'è l'arvicola delle nevi, un piccolo roditore dalla folta pelliccia,  che d'inverno è attiva sotto la coltre di neve e percorre una fitta rete di cunicoli ben visibili al disgelo.

Tra i rapaci i più comuni vi sono il gheppio, lo sparviere, la poiana.

Abitatori delle foreste d'alto fusto sono l'astore, che predilige per la nidificazione i grandi boschi di conifere mature, e la martora, che tende i suoi agguati, arrampicandosi sugli alberi, anche a scoiattoli e ghiri.  Alle quote più basse, là dove il faggio lascia il posto a vecchi castagni ricchi di cavità, nidifica l'allocco. Un vecchio nido di cornacchia è spesso occupato per la nidificazione dal gufo comune.

Flora

(testo tratto dall' Orto botanico del Sestaione)

Percorrendo i sentieri che si diramano dall'ovovia possiamo ammirare molte piante catalogate e presenti all'Orto botanico del Sestaione

La zona forestale

Dall'ingresso principale si accede alla parte forestale dell'Orto: un sentiero in discesa attraversa un bosco misto di faggio (Fagus sylvatica) e abete bianco (Abies alba).
Oltre a queste due specie altri alberi sono presenti in questa prima parte forestale: all'inizio del sentiero vi sono alcuni individui di douglasia (Pseudotsuga menziesii), specie esotica e largamente utilizzata per la produzione di legname; nel bosco si trova invece qualche maggiociondolo (Laburnum alpinum), salicone (Salix caprea) e sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia), essi accompagnano spesso -con presenze più o meno sporadiche- i boschi misti di faggio e abete bianco.

Infine, soprattutto lungo l'ultima parte del sentiero, è possibile osservare l'abete rosso (Picea abies), pianta particolarmente interessante in questa zona per l'esistenza, nella vicina foresta di Campolino, dell'unico popolamento relittuale presente allo stato spontaneo su tutto l'Appennino (a tale proposito vedi Riserva Naturale Orientata di Campolino).

A metà discesa una deviazione sulla destra consente di scendere fino al torrente Sestaione dove domina una lussureggiante vegetazione ripariale.

Il sentiero termina presso la casetta di servizio dove si apre una vasta radura artificiale in cui sono stati ricreati numerosi altri ambienti caratteristici delle nostre montagne.

La roccaglia silicea

La formazione geologica dominante su tutto l'Appenninio pistoiese è l'arenaria: si tratta di una roccia silicea la cui degradazione dà origine a suoli tendenzialmente acidi. Le piante ospitate da questo substrato vengono definite "acidofile" e rappresentano la maggioranza delle specie presenti sulle nostre montagne. La roccaglia silicea qui ricostruita raccoglie quindi una buona percentuale delle erbe e arbusti che possiamo comunemente incontrare durante le escursioni. A buona ragione perciò questa zona risulta uno degli ambienti più estesi e importanti di tutto l'Orto Botanico.

Tra le piante che vivono ad una altitudine media, in ambienti dove ancora vegetano le piante arboree, troviamo la Digitalis lutea, la Atropa belladonna, il sambuco rosso (Sambucus racemosa), la Gentiana asclepiadea.

Le piante in assoluto più interessanti sono quelle che manifestano tutt'oggi stretti legami con la flora alpina: esse sono discese a sud con le ultime glaciazioni e si sono mantenute fino ai giorni nostri nelle aree più elevate dell'Appennino settentrionale. A tal proposito si parla di "caduta floristica" per indicare quel contingente di piante che trovano nell'Appennino Tosco-Emiliano (in particolare al Passo dell'Abetone e al Corno alle Scale) il limite meridionale del loro areale, scomparendo bruscamente dalle vette poste immediatamente più a sud: alcuni esempi sono Cicerbita alpina, Doronicum austriacum, Gentiana purpurea, Rhododendron ferrugineum, la felce Cryptogramma crispa e molte altre.

Le piante del "vaccinieto"

In una zona adiacente alla strada lastricata sono riunite alcune delle piante tipiche della brughiera a mirtillo (vaccinieto), in particolare vi sono le uniche tre specie di mirtillo presenti sulle nostre montagne: il comune mirtillo nero (Vaccinium myrtillus); il falso mirtillo (Vaccinium gaultherioides), molto simile al precedente ma non commestibile ed il mirtillo rosso (Vaccinium vitis-idaea), commestibile ma estremamente raro. Oltre ai mirtilli vi è l'Hypericum richeri, dai fiori gialli, molto comune in alta montagna, il brugo (Calluna vulgaris), l'empetro (Empetrum hermaphroditum), dalle bacche nere simili a mirtilli e infine quattro piccole piante arcaiche, molto simili tra loro, relitti di una flora un tempo molto più diffusa ma oggi estremamente primitiva: Huperzia selago, Lycopodium annotinum, Lycopodium clavatum ed il più raro Diphasium alpinum.

La roccaglia calcarea

In alcune zone della montagna pistoiese il substrato geologico, prevalentemente siliceo, si arricchisce in maniera rilevante di un'altro tipo di roccia: il calcare. Non si tratta mai di veri e propri affioramenti, quanto più di strati di arenaria o argilla a cui si mescolano o si intervallano rocce a matrice calcarea. Soltanto nella vicina media valle della Lima o nell'Orrido di Botri (appartenenti alla provincia di Lucca), si hanno estesi affioramenti di calcare più o meno puro.

Ciò comunque è sufficiente a far sì che anche sull'Appennino pistoiese siano presenti numerose specie "calcicole", specie cioè che prediligono i substrati calcarei anzichè quelli silicei. Per questo motivo è stato d'obbligo creare all'interno dell'Orto una zona che potesse ospitare un certo numero di tali piante.

Particolarmente interessanti sono il Geranium argenteum, specie alpina presente in vaste cenosi sul M.Cimone e su poche altre vette; la Globularia incanescens, anch'essa presente sporadicamente sui principali rilievi (M. Gomito, Corno alle Scale ...) la piccola Campanula cochleariifolia, osservabile sul M. Spigolino, i "cuscinetti" emisferici della Saxifraga oppositifolia, e ancora il rarissimo camedrio alpino (Dryas octopetala), la primula orecchia d'orso (Primula auricula), il semprevivo ragnateloso (Sempervivum arachnoideum) e infine la Rosa serafinii, segnalata nei pressi di Boscolungo ma di recente non ritrovata.

Il masso lichenico

E' situato all'interno della faggeta, verso la fine del sentiero che riconduce all'ingresso principale; si tratta di un enorme masso di arenaria ben esplorabile grazie ad un breve camminamento di legno.

Questo microambiente permette di osservare direttamente i processi di evoluzione naturale del rivestimento vegetale a partire da uno dei substrati in assoluto più inospitali e ingrati: la roccia nuda.

Gli organismi che per primi meglio si adattano ad una tale superficie sono i licheni, prodotti della simbiosi tra un fungo ed un'alga; essi soltanto riescono a colonizzare questi ambienti dalle condizioni di vita estreme creando così i presupposti per l'ulteriore insediamento di specie più esigenti. La colonizzazione da parte dei muschi richiede infatti la presenza di almeno un sottile strato di humus o terra fine spesso creato proprio grazie alla presenza dei licheni.

E' facile capire come questi vegetali estremamente semplici riescano a produrre, nel corso degli anni, una quantità di biomassa tale da creare un substrato fertile indubbiamente più ospitale dell'originaria roccia nuda, aprendo così la strada ad altre specie erbacee, arbustive ed infine arboree che andranno a coprire interamente il masso ricostituendovi la foresta.

Sul masso si riconoscono bene numerose "chiazze" gialle, grigie o di altro colore che rappresentano specie diverse di licheni, inoltre vi si osservano estesi i tappeti di muschio, talvolta anche di notevole spessore, a formare dei veri e propri "cuscinetti"

Le piante velenose

La frequenza con cui si verificano casi di intossicazione in persone che hanno ingerito parti di piante velenose, contribuisce a fare della didattica una delle funzioni più importanti dell'Orto Botanico. Il suo ruolo risulta in tal senso pressochè insostituibile in quanto consente al visitatore di acquisire una conoscenza diretta di alcune delle piante più "pericolose" presenti sulle montagne dell'Appennino settentrionale.

Le specie velenose che possiamo trovare lungo una qualsiaisi escursione sono sicuramente molte di più di quelle che ognuno di noi può immaginare, spesso si tratta di piante effettivamente molto belle, con fiori e frutti dai colori vivaci ed attraenti.

All'interno dell'Orto esse non sono state raggruppate in un'unica zona ma si trovano generalmente collocate nei loro ambienti naturali in modo da fornire indicazioni sulle proprie preferenze ecologiche. Alcune delle più comuni e facili da individuare sono: il maggiociondolo (Laburnum alpinum, L. anagyroides), la digitale gialla (Digitalis lutea), la farferuggine (Caltha palustris), il fior di stecco (Daphne mezereum), la belladonna (Atropa belladonna), il veratro (Veratrum album, V. nigrum) e l'uva di volpe (Paris quadrifolia).

 

 

 

 

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